Holi, il Festival Indù dei colori: le vedove, escluse dai festeggiamenti, si organizzano così [GALLERY]

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Quando la religione supera i confini del buon senso: le donne vedove induiste sono escluse dai festeggiamenti del Festival Dei Colori, l’Holi: ecco come si organizzano dentro i loro “ghetti” per assaporare anche loro un pò di colore nelle loro vite emarginate ed ai confini della società

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Sono già cominciate le celebrazioni dell’Holi, la festa indù che celebra l’arrivo della primavera e che quest’anno comincia oggi, 6 marzo. La festa dei colori nell’Induismo, segna la fine della stagione invernale nei paesi in cui questa religione è diffusa: in India, Nepal, Pakistan, Bangladesh. Durante la festa i partecipanti si lanciano polvere colorata e fiori per le strade delle città con una sprezzante gioia che celebra appunto l’arrivo della primavera. Ai festeggiamenti però, secondo la cultura induista, non possono  partecipare le vedove, poichè sono donne che mai più nella loro vita, dopo aver perso il marito, potranno gioire di piaceri terreni. Una sorta di punizione dunque per le donne induiste che, non solo hanno già perso il marito, ma sono destinate ad una vita di emarginazione senza più la possibilità di rifarsi un’esistenza. Sono come marchiate: sei vedova, dunque non conti più nulla per la società.

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Le stesse donne spesso sono anche abbandonate dalle loro stesse famiglie e dai figli una volta che rimangono vedove, come se dovessero essere scacciate dalla società. L’ONG Sulabh international ha organizzato tre giorni di festa dedicati a queste donne, la cui maggior parte risiedono nelle  città sante di Vrindavan e di Varanasi, come fossero dei ghetti per vedove. L’ong ha festeggiato negli ashram con più di mille vedove, usando una tonnellata e mezzo di petali e una tonnellata di gulal, la tradizionale polvere colorata.

Proprio a  Vrindavan, nota anche come “città delle vedove” e rifugio per molte donne che hanno perso il marito, anche loro hanno potuto festeggiare a loro modo e nel loro piccolo  l’Holi, l’arrivo della primavera, cosa che non potrebbero mai fare nel  resto del paese ed in pubblico, in mezzo alla gente comune. Questa strana usanza indiana, perchè non può essere chiamata dogma religioso data la sua estrema assurdità, ha dell’incredibile: una vera e propria discriminazione razziale verso le donne, che sono

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marchiate a vita solo perchè hanno perso il marito involontariamente e dunque non per cause o colpe a loro imputate. Se questo deve essere chiamato “religione”, allora si può dire di essere davvero arrivati al limiti dell’estremismo, quel limite in cui la fede è scambiata con l’ignoranza,  alimentata da credenze per lo più tramandante da generazione in generazione e che, forti del loro passato, si insidiano anche nella cultura, nella società e nella religione.