Aborto: nonostante sia legale, l’interruzione di gravidanza volontaria è una scelta sempre discutibile, opinabile, criticabile. Spesso si finisce per perdere di vista il trauma che la donna subisce nel compiere tale scelta, perchè la società è fin troppo impegnata a propinare i suoi moralismi
L’aborto oggi è una pratica molto controversa, seppur legale nel nostro paese. Infatti sono molte le donne che sono combattute sull’argomento, divise fra chi dinnanzi ad una gravidanza indesiderata deve scegliere: farla cessare o portarla avanti? Il dilemma non nascerebbe se interrompere una gravidanza non fosse considerato da molti come un omicidio. Dogmi religiosi e i moralismi di cui è vittima la società, che si muove come se ogni singola persona non abbia una propria testa pensante, ma tutti ragionassero con un’unica mente, ossia quella della massa, si schierano a favore o contro senza realmente avere consapevolezza del trauma che una donna subirà se sceglie di abortire.
Il punto focale della questione sul quale in questa sede si vuole riflettere va oltre le mille polemiche moraliste e conservatrici. Una donna come può essere guidata nel compiere questa scelta e come deve rapportarsi se mai dovesse trovarsi dinnanzi a questa situazione? Non bisogna sentirsi giudicate, ognuna ha le proprie ragioni e qualunque esse siano non devono essere considerate futili o superficiali. L’importante, qualunque cosa si scelga è che si è sicure: sia se si deciderà di portarla avanti sia di interromperla. Solo la sicurezza infatti permetterà alla donna di continuare a vivere la propria vita, a seconda della scelta che compirà, in modo sereno senza rimpianti nè rimorsi. Non bisogna agire istintivamente, infatti si ha fino a 12 settimane di tempo per fare l’IGV (interruzione di gravidanza volontaria).
L’aborto è stato reso lecito in Italia, dalla Legge n.194/1978, purchè la pratica sia effettuata entro i 90 giorni dal concepimento; dopo i 90 giorni infatti è possibile farlo non su volontà esclusiva della donna, ma solo in tassative situazioni previste dalla legge ossia per fini terapeutici quando cioè il feto è malato ed è fortemente messa a rischio la salute della donna se dovesse proseguire la gestazione. Il mondo femminile da sempre si divide: abortire è pari all’essere considerato un omicidio? Si sta decidendo per una vita altrui, vita che, sarà quella del proprio figlio? La donna è quell’essere vivente che è stata dotata della capacità di far crescere dentro di sé una vita, ma è pur vero che questa non la giustifica sempre e comunque nel decidere su questa vita. Non è semplice affrontare l’argomento né prendere una netta posizione a riguardo poiché sono implicati fin troppi fattori che agiscono sulla decisione finale: se abortire consapevolmente per interrompere una gravidanza indesiderata può essere considerato un omicidio , allora anche assumere la pillola del giorno dopo puo’ esserlo. Mentre nell’aborto per via ambulatoriale e farmacologico si ha la piena consapevolezza dell’esistenza della gravidanza ed il processo fecondativo è già esaurito, nel caso della pillola del giorno dopo il processo è molto più immediato, deve essere realizzato il giorno dopo che sia avvenuto il rapporto sessuale imputato come rischioso e per il quale si ha solo un dubbio di una probabile gravidanza. Allora dunque, è solo un fattore che dipende dalla consapevolezza del fatto? Se la gravidanza già è conclamata è omicidio, se c’è invece solo un forte sospetto, “assumo la pillola subito, non è omicidio perché magari non ero incinta”. Sembrerebbe più un celarsi dietro una finta inconsapevolezza per lavarsene le mani insomma e rimanere con la coscienza pulita. Alla fine, il concetto di fondo è sempre quello: abortire dopo un mese o assumere la pillola abortiva del giorno dopo non hanno entrambi i metodi lo stesso fine? Bloccare una gravidanza indesiderata e dunque desiderare che, sia se esiste o non esiste, voler stroncare ciò (se può essere definito “ciò” visto che si sta parlando di un seme fecondato che potrebbe diventare una vita) che si sta formando dentro di sé, per quanto possano essere giustificabile e valide le motivazione che spingono a compiere questo gesto.
Su questo punto, occorre fare chiarezza innanzitutto: la pillola del giorno dopo non deve essere confusa con la pillola RU-486, autorizzata in Italia dal 2009. Infatti, mentre la pillola del giorno dopo agisce stimolando gli ormoni progestinici per far si che l’ovulo fecondato non si annidi nella cavità uterina, la RU-486 è un metodo abortivo detto farmacologico poiché agisce a processo fecondativo già avvenuto (l’ovulo si è già annidato).
Qualunque sia la ragione che possa spingere una donna a prendere una decisione del genere necessita di supporto: che sia di un ginecologo, di un consultorio, del proprio medico: il sostegno di un esperto è fondamentale anche per mostrare gli eventuali metodi diversi con cui praticare l’interruzione di gravidanza volontaria, che dipendono dal momento in cui se n’è venute a conoscenza.
Lo svuotamento strumentale che avviene in ambulatorio con anestesia locale o totale a seconda dei casi, è il più diffuso. Fra i metodi di ambulatorio vi sono:
– l’isterosuzione: viene utilizzata solo entro le prime otto settimane di gestazione
-la dilatazione e la revisione della cavità uterina: dall’ottava alla dodicesima settimana di gestazione, vengono eseguite in genere la dilatazione e la revisione della cavità uterina (D&R). In anestesia parziale o totale
-La dilatazione e lo svuotamento: utilizzata solo per gravidanze che superino le dodici settimane (dopo i termini della legge italiana per l’interruzione volontaria), e dunque si rientra in uno dei casi tassativi previsti dalla norma.
-l’ IGV farmacologica invece, avviene con la pillola RU-486 che svolge la sua funzione abortiva: l’aborto avviene nel giro di uno/due giorni (attraverso una prima assunzione seguita da un sanguinamento che precede l’assunzione della seconda sostanza) e dura poco più di una settimana.
– la pillola del giorno dopo invece, molto più immediata e soprattutto interviene quando ancora spesso a donna non è sicura della gravidanza. E’ necessario assumerla entro le 24 ore successive al rapporto sessuale rischioso, da qui il nome comune con cui viene generalmente chiamata
L’argomento è ostico. E’ pur vero che la questione deve essere decisa con un assoluta consapevolezza anche del post nascita: che vita farà quel bambino se si decide di portare avanti la gravidanza? Esistono infatti milioni di casi difficili in cui donne-bambine di sol 15 anni ed a volte anche di meno si ritrovano a gestire una situazione simile, oppure, situazioni di estrema povertà e disagio sociale dove è facilmente presumibile che il futuro del nascituro non potrà essere florido.
Ma il punto focale della questione, anche davanti a queste situazioni ritorna a farsi vivido: non è possibile prevedere il futuro. Seppur le condizioni dei futuri genitori non sono raccomandabili, con che responsabilità si assumono l’impegno di decidere e di immaginare la vita che potrà avere il loro potenziale figlio? Le dinamiche della vita sono imprevedibili, non possono essere previste o programmate: ci sono infatti molti casi di persone che, nascendo in un contesto familiare disastroso, hanno vissuto la loro infanzia in istituti, in conventi o in condizioni di miseria, ma che poi, nella vita, sono riuscite a riscattarsi divenendo qualcuno che contasse. Perché dunque decidere per una vita futura, che , seppur le prospettive iniziali non siano delle più favorevoli, potrebbero poi prendere una strada positiva (pensiamo alla strada delle adozioni, famiglie benestanti pronte a regalare tanto amore ). Ma qui, scatta un senso poi egoistico: meglio rinunciare completamente e non dare l’esistenza, piuttosto che portarlo in grembo per 9 mesi e poi separarsene.
Ciò vorrebbe dire condannarsi ad una vita di rimpianti, pensando sempre a quel figlio chissà dove e dunque un peso insostenibile, “se non posso averlo io non lo avrà nessuno”. La situazione sopra descritta, è sicuramente una delle situazioni che possono motivare la maturazione di una tale scelta. Ma in realtà molti aborti vengono praticati anche da donne assolutamente in condizioni normali, magari single, in carriera, che hanno una vita lavorativa e sociale attiva e dunque non ragazzine spaventate e senza l’appoggio di una famiglia. E qui, scatta invece la questione egoistica: in questo caso si tratta di decidere se una gravidanza possa o meno intralciare la propria vita, la propria carriera, le proprie prospettive ed i propri sogni. Qui dunque la questione è molto diversa: non si tratta più di preoccuparsi sul potenziale futuro di chi si porta in grembo ma si tratta di decidere sulle cose che nuociono al proprio futuro.
I possibili scenari e fattori che si intersecano dinnanzi ad una scelta simile sono milioni tale per cui, una scelta del genere non sarà mai facile per nessuna e a ci si augura di non ritrovarsi mai ad affrontarla. A questo punto, verrebbe dunque da dire “prevenire è meglio che curare”. Se si è consapevoli che la drammaticità di un dubbio simile causa stress e traumi psicologici nella donna, dovrebbe essere essa stessa ad essere consapevole di non doversi mai ritrovare davanti a quel bivio: per cui, davvero, basta poco. Di metodi contraccettivi ormai ne esistono in gran quantità. Basta poco per evitare di trovarsi dinnanzi a questo dubbio lancinante che cambia drasticamente la vita di una donna, qualunque strada essa intenda percorrere.